Amarcord… A testa alta contro l’Inter dei record

 

Domenica 16 aprile 1989 si gioca la 25° giornata del campionato di serie A 1988 – ’89 ed il Pescara gioca a Milano contro l’Inter. A distanza di un mese e mezzo dalle sei inforcate sferrate dai diavoli rossoneri, il Delfino torna a S. Siro sperando quantomeno in un esito meno doloroso. Tuttavia, nelle cinque performance successive al terribile 6 – 1 subito in casa Milan, i biancoazzurri, sposando la teoria dei piccoli passi basata su un punto a partita, si sono costruiti una classifica più che positiva, che li vede in decima posizione, a tre lunghezze dal quart’ultimo posto che certifica la retrocessione in B, tenendo sotto di se ben sette squadre. Al “Meazza” dipinto di neroazzurro è, però, legato un ricordo indelebile nel cuore e nella mente di ogni pescarese, condensato nell’incredibile esordio del campionato precedente, quando la pattuglia di Galeone andò ad imporsi 2 – 0 con le reti di Galvani e Sliskovic su rigore, sbaragliando tutti i pronostici e silenziando i detrattori pronti già a considerare il Delfino affondato tra i cadetti ancor prima di iniziare il torneo. Ma, si sa, in principio di stagione le sorprese sono dietro l’angolo, perché tutte le squadre sono un grande cantiere e capita talvolta di cadere nelle buche dei lavori in corso. A distanza di due anni, ripetere quell’impresa da parte di Galeone e co sembra davvero irripetibile, al cospetto del terribile Biscione di Trapattoni che, a dieci turni dal termine, da sette settimane ha avvolto nelle sue spire ogni malcapitato avversario, avviandosi a stravincere lo scudetto. A +7 dal Napoli di Maradona, con la vittoria che vale due punti, manca solo la matematica a confortare, finalmente, il popolo interista, dopo anni di delusioni ed aspre critiche, unite agli sberleffi di tutte le altre tifoserie, per le faraoniche campagne acquisti improduttive di risultati del presidente Pellegrini. Ora è tutta un’altra storia e per capirlo basta leggere la formazione neroazzurra, al netto dell’assenza di Mandorlini in difesa: Zenga, Bergomi, Brehme, Matteoli, Ferri, Verdelli, Bianchi, Berti, Diaz, Matthaus e Serena. Galeone fa quel che può con Gatta, Ciarlantini, Bergodi, Ferretti, Junior, Marchegiani, Pagano, Gasperini, Miano, Caffarelli e Berlinghieri. La plumbea ed umida atmosfera che avvolge Milano non sembra essersi materializzata casualmente a 24 ore esatte dalla tragedia di Hillsborough, a Sheffield, dove, in occasione della finale di FA Cup tra Liverpool e Nottingham Forest, 96 persone hanno perso la vita, schiacciate e soffocate nella calca per accedere allo stadio. E’ come se quel cielo grigio e piovoso rispecchiasse perfettamente lo stato d’animo del calcio mondiale che, in un mix di rabbia, tristezza e, forse, rassegnazione, si scopre ancora una volta vulnerabile nell’organizzazione e nelle infrastrutture, il cui ammodernamento, soprattutto per garantire a tutti gli spettatori un posto a sedere, appare un’esigenza non più procrastinabile. In tal senso, in Italia, lavori straordinari ed urgenti sono promessi dall’Onorevole Tognoli, Ministro per i problemi delle aree urbane del Governo De Mita, che, presente in tribuna a S. Siro, dichiara anche tolleranza zero per i violenti.

Con il dolore per quanto successo oltremanica, l’avvio sbarazzino del Pescara sorprende tutti: Gasperini, Miano e Caffarelli si scambiano di continuo le posizioni d’attacco e non danno punti di riferimento alla difesa meneghina, disorientata anche da Pagano che, all’inizio, dà sfoggio anche alla Scala del calcio di un paio delle sue imprendibili sgroppate, costringendo in una circostanza Ferri al fallo deciso al limite dell’area. L’arbitro Coppetelli, colpevolmente, non ammonisce lo stopper interista ed il Pescara è costretto ad accontentarsi solo di una punizione dal limite, che Junior calcia fuori di un soffio, spaventando Zenga. Ma i neroazzurri sono di un altro pianeta, come dimostra Diaz, capace di sfruttare la casualità di un rimpallo in area e colpire con il destro, certamente non il suo piede preferito, il palo esterno. Ci riprova Diaz, sempre con il destro, subito dopo e la mira è di poco fuori, ma al 20’ la classe neroazzurra non fa acqua: cross di Matthaus dalla tre quarti destra, generosa torre di Serena per il perfetto inserimento sotto porta di Berti, il settimo in stagione, che, sempre di testa, fulmina Gatta. Serena, capocannoniere con 15 reti, vuol tornare al goal e prima sbaglia abbastanza clamorosamente, poi, al 27’, fa venire giù S. Siro: sei passaggi di fila tra Matteoli e Serena squarciano tra le linee il Delfino, cross da destra del mediano sardo e fantastica semirovesciata volante al limite dell’area piccola di Serena per il raddoppio neroazzurro. Apoteosi interista, furia per Gatta, scaricata con un’artigliata minacciosa verso i compagni, ritenuti colpevoli un atteggiamento troppo passivo. Ora piove a dirotto e potrebbe addirittura grandinare sul Delfino, salvato da Gatta con buon tempismo in uscita. Eppure, al 37’, gli abruzzesi hanno la chance di accorciare le distanze, vedendosi accordare un rigore per un fallo di Verdelli su Pagano, sempre propositivo e sgusciante. Gasperini va dal dischetto, ma Zenga si allunga sulla destra e l’occasionissima sfuma. Appena due minuti e la medesima situazione si verifica a parti invertite: Matthaus affossato mentre si prepara a ricevere un cross di Brehme ed il braccio destro di richiamo di Gatta regala un dispiacere a Serena dagli undici metri.

Ad un primo tempo emozionante, segue una ripresa piuttosto deludente. L’Inter sente ormai di poter suonare l’ottava sinfonia e, su ordine dei fischi del suo direttore d’orchestra Trapattoni, pensa a risparmiare fiato, senza stonare eccessivamente. Brehme segnerebbe anche il 3 – 0 su punizione, ma Coppetelli annulla, mentre l’altro tedesco, Matthaus, toccato duro al costato, abbassa il limite di velocità. Così, i biancoazzurri ne approfittano negli ultimi cinque minuti, andando a segno con Pagano, che spedisce in rete una palla non trattenuta da Zenga su precedente tiro di Edmar, entrato al 59’ al posto di Berlinghieri. Insomma, la pazza Inter non si smentisce mai, il tempo di qualche apprensione, però, ed i suoi tifosi possono continuare ad amarla. Così come i supporter pescaresi applaudono un Delfino sconfitto, ma tutt’altro che stritolato dal Biscione che striscia via spedito verso il titolo di campione d’Italia.

Federico Ferretti

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